Per le imprese che vogliono crescere è fondamentale capire quanto la loro struttura è effettivamente in grado di sviluppare e di sostenere il potenziale dei ragazzi
AL CENTRO LA PERSONA Come ogni crisi profonda, anche quella pandemica che stiamo vi- vendo ci introduce al futuro in modo bipolare: da un lato crea forte incertezza sulle prospettive per il lavoro, dall’altro spinge all’innovazione e alla trasformazione dei modelli organizzativi delle imprese. Lo abbiamo visto con lo smartworking: il lavoro da casa di questi mesi diventa anche un banco di prova per il futuro, e chiede di superare un’organizzazione del lavoro centrata sul controllo per un nuovo modello basato su fiducia e coinvolgimento, definizione di risultati da raggiungere e autono- mia. È il ruolo delle competenze soft, trasversali, la cui centralità viene ribadita proprio dal forte impatto che la crisi sanitaria ha sulle imprese. Serve un nuovo modello, anche nelle strategie per il capitale umano e nell’affrontare più in generale il tema dei giovani, di come un’azienda può rendersi più attrattiva nei confronti dei giovani talenti. «Qui deve cambiare innanzitutto lo sguardo che abbiamo sui giovani–dice Paolo Ferrari, fondatore di Edoomark, e da anni in prima fila sul fronte dei rapporti scuola-lavoro.
Guardare i giovani dal punto di vista del talento, significa vederli nel potenziale che hanno. Se uno pretende che i giovani siano lavoratori fatti e finiti, non vede in prospettiva anche i margini di miglioramento, e non vede neanche come la propria azienda possa migliorare insieme alla loro crescita». È un investimento sul futuro, che inizia già dai percorsi di selezione e di recruiting: se non sono fortemente basati sulle soft skille sulle competenze (e non solo sulle capacità che i ragazzi hanno già) il rischio è proprio quello di non pensarli in prospettiva. Ma da questo punto di vista come sono messe le imprese bergamasche? «Ci sono delle buone prassi, ma siamo ancora indietro –spiegaFerrari-. In genere si pensa che giovani e azienda si incontrino sulla cultura del lavoro e al massimo sulle prospettive di carriera. Le aziende si aspettano che i giovani si adattino a loro, mentre oggi anche le imprese devono adattarsi ai ragazzi. Ed è un’occasione per rinnovarsi, specialmente nel clima aziendale. Un ambiente lavorativo adatto ai millennial è più orientato all’innovazione e all’internazionalizzazione». Le accelerazioni imposte dalla crisi in atto, come nell’avvento del digitale, dove alcune resistenze tipiche del mondo adulto si sono dissolte di colpo, hanno introdotto modalità di lavoro con le quali i giovani hanno già maggiore familiarità. Ora però occorre accelerare i tempi, perché un conto è aprire le porte a nuove modalità, un altro è essere in grado di utilizzare questi linguaggi in modo consapevole. E proprio i giovani potrebbero aiutare le aziende a compiere questo salto.
TRA IMPRESE E SCUOLE Il fattore decisivo per vincere questa sfida delle competenze trasversali verrà comunque dal rapporto con la scuola. «Siamo all’interno di una rivoluzione,–conclude Ferrari-. Sui banchi non c’è più solo il voto per quello che tu apprendi e conosci, ma sempre più si valutano le competenze dei ragazzi. Su questo la scuola sta facendo passi da gigante, anche se è un processo difficile e lungo. Il punto è che le aziende - il contesto dove poi queste competenze emergerannoinmodoevidente– non sono ancora abituate a dialogare in modo strutturato con la scuola. È comunque un processo in atto, e gli imprenditori avvertono l’esigenza: non a caso la tendenza dell’ultimo decennio sono le Academy aziendali, con imprese che creano queste esperienze non solo come luoghi formativi, ma spesso come vere e proprie unità produttive dell’azienda». La prossima frontiera?«Aiutare le aziende su questo terreno, iniziando a vedere se, come e quanto sanno investire sulle competenze e sul potenziale dei ragazzi. Le imprese del futuro saranno vincenti in base a questo».
Tratto da Skille
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