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Vietato dire «Te l’avevo detto». L’adulto deve stare accanto



«Te l’avevo detto». Una delle frasi più antipatiche da sentirsi dire, poiché somma alla sottolineatura dell’errore – con le conseguenze negative del caso – quella del non aver ascoltato, dell’aver avuto la possibilità di evitarlo senza coglierla appieno per distrazione, pigrizia, cocciutaggine.

Una frase, il «te l’avevo detto», che appartiene a una famiglia ampia, la stessa del «Capirai quando sarai grande» oppure del «Fidati e vedrai che ho ragione io», ad intendere che per decidere non è necessario comprendere, suggerendo piuttosto una fiducia cieca, un salto nel vuoto.

Espressioni, modi di dire che non di rado siamo tentati di usare quando abbiamo a che fare con un adolescente, sia esso nostro figlio, un nipote, uno studente, ponendoci nella posizione di coloro che sono già arrivati, che hanno già in mano le soluzioni, che hanno già capito.

Una tentazione da cui non siamo immuni pure noi, nel ruolo di educatori dei Mediacenter di Brescia e Bergamo, specialmente quando siamo preoccupati più dell’esecuzione di un compito o della consegna di un prodotto che del percorso che i ragazzi stanno seguendo.

Capita anche quando ci vengono poste alcune domande, tipo: «Posso inserire nel testo una parolaccia?» oppure «Va bene se finisco dopo?».

Se non ci si pensa la risposta dell’adulto è sempre secca, decisa, direttiva, solitamente negativa. Come educatori tuttavia ci sforziamo di non liquidare il tutto con un sì o un no, restituendo la palla della decisione al ragazzo, con espressioni del tipo: «Non so, tu cosa ne pensi? Una parolaccia in un contesto informale potrebbe starci ma qui non rischierebbe di essere fraintesa?». O ancora: «Io sono abituato a terminare le cose, perché lasciarle a metà e poi riprenderle per me è controproducente, ma valuta tu, ti conosci meglio di quanto ti conosca io e se sei sicuro di terminare comunque in tempo non serve chiedermelo».

Un modo di essere, uno scegliere di metterci al fianco, senza rinunciare ad esprimere cosa vediamo da quel punto di vista, a raccontare la nostra esperienza, sperando che possa essere illuminante, evitando imposizioni.

L’obiettivo è che l’adolescente decida la sua strada, assumendosi un rischio, che tuttavia è proprio il rischio educativo, cioè la possibilità che quella strada sia utile, produttiva, oppure impervia, pericolosa, che porti in un fondo cieco o addirittura in un fosso.

Porci accanto, al fianco, non garantisce infatti dall’evitare la caduta, bensì consente la possibilità di tendere la mano in caso di bisogno.


Paolo Maria Ferrari

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