Siamo tutti educatori. In modo spesso inconsapevole, ma inevitabile: ogni adulto che incontra con continuità un adolescente, volente o nolente, lo educa, influisce sulla sua crescita, sulla sua immagine di adulto, di uomo.
Una convinzione maturata da un punto di vista privilegiato, vivendo con i ragazzi, incontrandone moltissimi, avendo la possibilità di osservare, confrontarci, riflettere. Un lavoro quotidiano che vorremmo condividere su queste pagine, a partire da alcune consapevolezze. La prima: noi siamo adulti, non adolescenti.
Anche volendo, non riusciremmo mai a parlare la loro lingua, al massimo saremo giovanili, cioè parleremo una lingua vagamente comprensibile, ma i «madrelingua» adolescenti sono soltanto gli adolescenti stessi.
Di più. Gli adolescenti di oggi non sono quelli di ieri e non saranno gli adolescenti di domani: l’adolescenza, come ogni tempo della vita, si coniuga esclusivamente al presente. Tentare di fissare quell’età al di fuori del qui ed ora o pensare di dilatarla stabilendo un’identità simile è illusorio, oltre che sbagliato. Ai loro occhi noi adulti risultiamo differenti, a volte goffi, vecchi, fuori moda. In alcuni momenti potremmo avere l’impressione di una sintonia maggiore, ci potremmo quasi sentire pure noi dei «madrelingua», eppure ci sarà sempre quel dettaglio, quel «difetto di pronuncia» che segna un confine e insieme una distanza. Ed è bene così. Comprendere le differenze reciproche infatti non fa da ostacolo alla relazione, così come non è necessario essere inglesi per parlare l’inglese, per potersi comunque spiegare, capire. Il rischio, se ci si comporta altrimenti, è di risultare finti, falsi, addirittura ridicoli, scimmiottando una naturalezza che non si possiede. Perciò ogni giorno, nei nostri Mediacenter, ospitando decine di ragazzi di terza e quarta superiore e vivendo un’esperienza di alternanza scuola lavoro, ci impegniamo nel parlare con loro come fossero adulti.
In principio fanno molta fatica, servono quasi due intere giornate per comprendersi, per trovare un linguaggio comune, tuttavia osservando le loro fatiche, ci accorgiamo che sono identiche alle nostre.
Certo, l’esperienza e il tempo ci hanno aiutato nel trovare alcune strategie che facilitano, ma la fatica è la stessa. Una fatica che non va scansata, sminuita, esorcizzata, bensì riconosciuta, come terreno comune, base di partenza, perché in questo tipo di rapporti non c’è ruolo che salvi o protegga. Come adulti o si è credibili o non lo si è. Punto.
Paolo Maria Ferrari
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